shoplifting o cleptomania

by ChiaraSole Ciavatta

Ho fatto shoplifting (ma probabilmente si trattava di cleptomania) per una vita.
Termine anglofono per dire, senza fronzoli, che rubavo.
Dalla prima adolescenza all’età matura, quando entravo in un negozio, se la situazione lo permetteva e qualcosa mi piaceva, lo prendevo.
Non ragionavo particolarmente su questo gesto, era solo il completamento di un desiderio: lo voglio, lo prendo.
Adoravo la piccola scarica di adrenalina che ne seguiva. E adoravo la sensazione di aver qualcosa che, per il solo fatto di esser stata rubata, ai miei occhi valeva di più. Era più “mio”, era una conquista.
SI trattava di inezie, oggetti che avrei potuto tranquillamente permettermi, eppure…
Eppure col tempo il giochetto diventò una specie di esigenza, e cominciai a domandarmi PERCHE’ avessi bisogno di farlo.
Sentivo che ciò che prendevo mi era dovuto, una sorta di risarcimento che il negozio (più spesso il supermercato) mi doveva. “Ho speso troppo per questa cosa, e quindi quest’altra la prendo”. Punto.
Cominciai però ad avere forti sensi di colpa e paura, e ne parlai in terapia, anche perchè in un piccolo alimentari trovarono incongruenze tra la mia spesa e ciò che avevo nel carrello…e mi sentii morire.
Il risarcimento che cercavo non era sicuramente qualcosa di materiale, ma una grossa mancanza legata al mio passato, la necessità di avere qualcosa che sentivo essermi stato indebitamente sottratto (la libertà? l’amore? la gioia?).
Spesso le istituzioni, o in questo caso semplicemente un esercizio commerciale, incarnano un’autorità a cui ci si desidera sottrarre perchè avvertita come schiacciante.
Nel mio caso, naturalmente, il parallelismo era evidentemente con la mia infanzia e due figure genitoriali che pretendevano troppo da me in termini di perfezione…per sentirmi viva dovevo cercare vie di fuga…continuamente!
La situazione precipitò paurosamente quando, un giorno, venni sorpresa dalla sicurezza di un notissimo grande magazzino.
Avevo trovato in un reparto una confezione di orecchini, da bambina, e spaiati. Era evidentemente stata appoggiata da qualcuno del personale per essere inserita negli oggetti fallati.
La presi. E feci (col senno di poi) tutto ciò che può suscitare sospetto nella vigilanza. Esitai, misi le mani nella borsa, rimasi troppo tempo nel negozio, tirai dentro e fuori quegli stupidissimi orecchini.
Poi uscii, e un uomo in divisa si accostò a me. Mi intimò di seguirlo in uno stanzino, e ciò che accadde in seguito fu la scena più umiliante che io abbia mai vissuto nella mia vita.
Il responsabile del negozio mi apostrofò con tutti i peggiori epiteti che potessi immaginare, mi minacciò, mi fece piangere e chiedere perdono.
MI fece pagare ciò che avevo preso (e che in realtà…non aveva alcun valore…) e mi intimò di non farmi mai più vedere lì
Mi resi immediatamente conto, digerite angoscia e disperazione, che io AVEVO CERCATO INCONSCIAMENTE QUELLA PUNIZIONE. immagine-cleptomania
Avevo bisogno di essere fermata.
Cercando di esemplificare, avevo talmente interiorizzato la figura genitoriale, da aver necessità di essere fermata nel mio comportamento autolesionista (perchè tale è lo shoplifting) proprio da essa (incarnata nel responsabile del negozio)
Dopo quell’occasione ed ulteriori riflessioni in fase di terapia, non ebbi mai più l’impulso di rubare.
Fu un’ulteriore liberazione in una vita di dipendenze.

Alice

 

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