Home MondoSoleESPERIENZA TESTIMONIANZA RIFLESSIONE Il caos è figlio della bulimia, la mia esperienza.

Il caos è figlio della bulimia, la mia esperienza.

by ChiaraSole Ciavatta

Il caos è figlio della bulimia, la mia esperienza

Il caos è figlio della bulimia, la mia esperienza: Riflettevo su dove sono, come sono, io, oggi.
Dall’inizio del mio percorso sembra essere passata una vita, tante vite, ma è ieri se mi soffermo a pensare.
È come avere in mano una lente d’ingrandimento, dall’insieme del tutto, estrapolo quel giorno, il giorno in cui sono arrivata a MondoSole: da quel momento, grazie ai gruppi, alle sedute ecc., ho parlato della mia vita, di come avessi vissuto e stessi vivendo un lacerante dolore, di come mi faceva soffrire che la mia vita non fosse diversa.
Sin da quando ero bambina ho percepito un senso di precarietà: avevo il terrore che la mia famiglia si sgretolasse, poiché da una parte se mia madre urlava e le sue arrabbiature andavano sempre a sfociare in Infuriate paurose, dall’altra sentivo da parte sua un immenso bisogno di comprensione, e mio padre da una parte sembrava reggere il tutto, tenere botta, mentre dall’altra, proprio per questa compostezza che presentava, sentivo che la lasciava sola. Era un vortice di precarietà, e io Volevo essere il collante che non li avrebbe fatti separare, tenendomi dentro tutte le paure, tutto il sentire contraddittorio per entrambi, mi sono presa tutto quello che sentivo e me ne sono fatta una sorta di identità.
L’ipersensibilità che mi appartiene era qualcosa di oscuro e maligno, che mi faceva sentire impotente e sofferente.
Ho cominciato a fare una dieta perché volevo perdere “2 chiletti” di troppo, avevo 14 anni.
Il mio corpo era cambiato leggermente, ma non sentivo il corpo di una donna, solo un corpo un po’ diverso da come lo volevo.
Tutto nella mia vita era diverso da come lo avrei voluto, sempre alla ricerca di un rimedio se non perfetto, migliore.

Dunque ho cominciato una dieta da una nutrizionista che seguiva una mia amica,
Ero contenta perché riuscivo a “controllarmi”, avevo uno schema da seguire e in quello eccellevo.
Avevo raggiunto la fermezza che avrei voluto sentire a casa, e questo mi faceva sentire che quello che succedeva a casa non mi toccava più. Avevo altro a cui pensare.
Ho smesso la dieta perché la nutrizionista, la stessa che mi permetteva di mangiare 40g di pasta 1 volta la settimana, mi disse che ero dimagrita un kilogrammo di troppo, e lo dovevo recuperare. A quel punto non ci tornai più.
Ho continuato a seguire le stesse indicazioni, ma era tutto più confuso, e un giorno mi abbuffai di tante cose proibite dalla dieta, buone, di nascosto e quasi in modo naturale vomitai tutto.
Da quel momento mi convinsi di Volerlo fare, di voler mangiare e vomitare ancora un po’, ancora qualche altro giorno, e ogni giorno che cercavo di non farlo, mi convincevo che ero io a decidere di vomitare un altro giorno. Iniziò così un altro vortice: da una fase anoressica ero passata ad una bulimica… quello che avevo stava peggiorando.

Tutto il resto intorno mi sembrava sempre più lontano, la mia famiglia di quando ero piccola non esisteva più, e il mio futuro era diventato qualcosa di astratto, qualcosa che non era di mia competenza, qualcosa che qualcuno, prima o poi, avrebbe risolto, oppure lasciato semplicemente andare alla deriva. Il MIO futuro mi passava davanti agli occhi, le mie amicizie mi lasciavano indietro, io non riuscivo a vivere, io non avrei vissuto, “io che sento tutto questo male intorno sono sacrificabile”, pensavo.

Questo pensiero è stato un tormento, una giustificazione e una risposta al fatto che fossi completamente anestetizzata dalle abbuffate e vomitate compulsive.

Perché dentro alle abbuffate c’è il godimento, la spersonalizzazione e l’alienamento dal mondo, e io avevo trovato il mio nido: in quelle brevi sensazioni, io avevo sotterrato la mia vita.

Ma la stessa vita ripiombava su di me subito dopo in modo violento, e io???? Mi ripetevo: no, non ci riesco, sento troppo mal di vivere.”
Andai per qualche anno da una psicoterapeuta, mi ha aiutata a vedere le dinamiche familiari, a vedere come mi fossi immedesimata in mia madre, ma il mio sintomo era sempre più forte della razionale comprensione dei fatti.

L’ultimo anno di liceo mia madre mi portó da una dottoressa che mi fece una domanda: “ti ricordi come stavi prima della bulimia?” Io non mi ricordavo niente, non ero nemmeno cosciente di un “prima” e subito dopo, vedendo la mia faccia piena di lacrime mi disse che dovevo essere ricoverata.

È cresciuta in me la consapevolezza che potevo guarire, di certo non per quella domanda scioccante, ma perché sentivo che ero stanca di tutto, STANCA e basta, non sapevo come, dove, ma avevo un perché e mi bastava.
Certo non avrei mai pensato cosa comportasse, ma sentivo e volevo che la bulimia mi si staccasse di dosso, in modo bulimico, ma volevo guarire.
Così feci un mese ricoverata in 4 mura, non era un centro ospedaliero, era un oasi dove bambine e ragazze potevano mangiare in modo regolare e stare ferme, lontane e protette dal mondo circostante. Certo non era una favola, l’emotività si faceva sentire, ma tutto sommato era un altro nascondiglio, ed era un compromesso che mi facevo andar bene.
Tornai, feci la maturità e andai a Londra dove la mia vita avrebbe preso la svolta. Dopo un anno deleterio a Londra, dove non riuscivo nemmeno a varcare la porta dell’Università perché terrorizzata, tornavo a casa, e nel tragitto spendevo quasi tutti i soldi mensili in cibo, che poi vomitavo, sono tornata al centro residenziale dove ero stata l’anno prima.
Mi serviva per rimettermi in sesto, perché io tutta la teoria l’avevo in tasca, ma non riuscivo a metterla in pratica, così dopo 2 mesi in quella struttura residenziale, tornai a casa e dentro di me ho iniziato a sentire tanti sensi di colpa: piccoli e letali sensi di colpa sparsi: su come dicevo le cose, su come mi vestivo, su come mangiavo, e avevo sempre più paura di farmi vedere, sentivo un profondo senso di fallimento, di inadeguatezza.
Sentivo che il mio corpo aveva preso peso e non ero più protetta da quella maschera di magrezza che mi faceva sentire forte, accettata.

Dovevo correre ai ripari, era peggio che mai tutto quel sentire! Così, inconsciamente, tornai a mangiare e vomitare, rimandando la mia guarigione a tempi “migliori”.

Bevevo molto alcol, uscivo tutta la notte e quando dormivo a casa, dormivo tutto il giorno. Mi ero iscritta a un corso universitario, ma anche lì il rifiuto di vivere incombeva e mi destreggiavo nel vuoto più completo: cibo, uscite, solitudine, sensi di colpa, rabbia, pianto.

C’è uno scarto di tempo di cui non ricordo molto, quel periodo è stato come vivere a occhi bendati, fino a quando mi portarono a Rimini a conoscere ChiaraSole.

“io ho immensamente bisogno di aiuto, ma Qui a Rimini non vengo”: queste le parole che dissi al mio primo colloquio a MondoSole.

Io non avrei permesso più a nessuno di sradicarmi da casa, e poi farmaci…. ripiombare dilaniata.
Tornai a Roma e l’aiuto che cercavo non arrivava, così dopo una settimana chiamai Chiara, e mi trasferii a Rimini: racimolai dentro di me la motivazione che mi fece mettere da parte il trauma della struttura precedente, e iniziai il mio percorso di cura, come una pagina bianca.

Certo, la pagina bianca da riscrivere era la prima di un capitolo nuovo della mia vita, e tutto il capitolo precedente era da rileggere.

Sono arrivata convinta di tante cose, poi non sono stata più convinta di nulla, poi a tratti ho riconosciuto cosa era malato e cosa non lo era. E forse, una delle difficoltà più grandi, è stato riconoscere cosa non fosse più malato delle mie giornate quotidiane.

Mi sono sentita presa per mano, il gruppo e Chiara mi hanno ascoltata, mi hanno conosciuta mentre io stessa imparavo a conoscermi. Giorno dopo giorno sono stata aiutata a capire e insieme ad agire (teoria e pratica insieme), a vivere senza innescare la ruota sintomatica.
Ho ricostruito il rapporto con i miei genitori, usando il dialogo e il confronto. Ho parlato del disagio che sentivo, gli ho detto che mi dispiaceva, che avevo sofferto perché mi sono sentita abbandonata, ho parlato di come avevo vissuto la separazione, ho tirato tutto fuori con le parole. Parole molto diverse dalle parole rabbiose che uscivano in piena crisi bulimica.
Mi sono aperta a sentire tanto dolore, una sofferenza che non somigliava per niente al vomito, ma che giorno dopo giorno insieme a MondoSole, si trasformava in profonda consapevolezza, poi accettazione, fino a diventare una riga nel capitolo che stavo rileggendo, per poter andare avanti.
Grazie ai gruppi ho imparato a tracciare i miei confini, a crearmi una mia identità, e questo mi ha aperto a un mondo di legami, mi sono affidata al tempo, alla costanza, e ho vissuto tutto quello che arrivava sviscerando i dubbi, e i più “vergognosi” pensieri.
Sono spesso voluta tornare a Roma, in rivolta verso una me che cambiava, e a volte questa paura, questa rivolta, mi ha fatta piombare nel caos, figlio della bulimia.
Con il tempo, anche il tornare a Roma ha cambiato forma, ha perso la sua carica distruttiva che tanto mi attirava.
Durante il mio percorso a MondoSole mi sono anche iscritta all’università, ho lavorato per superare il profondo senso di inadeguatezza e fallimento che mi perseguitava.
Sono caduta, ho avuto delle ricadute, ho visto nero tante volte e altre volte sono scappata, ma ho scelto La vita alla malattia e oggi, in ogni giorno vedo il sole, vedo la scelta: la mia scelta maturata nel tempo con impegno e fatica, ma con altrettanta soddisfazione.
A volte quando sento la paura per i cambiamenti che sto attuando nella mia vita mi viene la pelle d’oca, la strada è lunga e i cambiamenti spaventano, e dentro sento che sto vivendo!
Basta tutto tutto e niente niente, mi assaporo ogni passo lungo la strada, perché è questo che impariamo a fare a MondoSole: a vivere tutto, nonostante tutti i nonostante.
E quindi, come sono io oggi?
Sono una giovane donna un po’ irrequieta, un po’ spaventata, ma felice di essere qui ed ora Viva!

Con tutto il mio cuore, un gioioso e libero grazie MondoSole.

L.

Puoi leggere anche: