guarire è anche non dimenticare testimonianza riflessione
non cancellare, non dimenticare: TV, radio, Facebook, vita quotidiana… ovunque, sempre di più, mi trovo a confrontarmi con articoli, testimonianze, storie di chi, adesso, con tanta tranquillità pronuncia la delicatissima espressione: ‘sono guarita’.
E, inevitabilmente, ciò mi ha riportato ai miei pensieri, malati, sul mio concetto di guarigione.
Cosa immaginavo con il termine ‘guarita’?
Nei miei tanti momenti di disperazione, seduta davanti al mio PC, totalmente prigioniera di quei pacchi di cibo vuoti che tenevo in mano, fissavo lo schermo e mi dicevo: un giorno tutto questo finirà!
Da domani tutto ciò non deve più accadere, si, perché io sono forte, ce la posso fare!
Un giorno quando ‘sarò guarita’ tornerò a mangiare poco, tornerò a non piangere più la mattina non appena sveglia, tornerò ad essere magra e tornerò ad uscire… tornerò ad avere una vita ‘normale’!
Quante volte mi ripetevo questo ritornello…
Adesso, col senno di poi, posso dire di quanto sia duro, difficile, il percorso di rielaborazione del proprio vissuto unito a un percorso di riacquisizione di una propria individualità.
Si tende davvero molto a minimizzare il termine ‘guarigione’, che, spesso, nella nostra mente DEVE avvenire nel minor tempo possibile. Come quasi ci fosse una gara o un tempo standard uguale per tutti, per ogni persona, per ogni vissuto. E se così non accade, ecco l’immediato ‘fallimento’.
Persino quattro mesi senza sintomo significa ‘guarire’ dai disturbi alimentari (…….). Ma allora perché, passati quei quattro mesi, nei successivi due, tre, quattro si risente la feroce esigenza di riempirsi di nuovo di quelle quantità industriali di cibo? Perché si risente l’esigenza di rattoppare, con qualsiasi mezzo a noi conosciuto, quel vuoto che si fa tanta fatica ad accogliere, sentire ed elaborare? Oppure, si risente l’esigenza di svuotarsi o ignorare ogni forma di cibo, ogni forma di piacere?
Penso che prendere consapevolezza del proprio dolore, indipendentemente dal tempo trascorso o necessario per il raggiungimento del benessere, sia uno dei passaggi più delicati, dolorosi e importanti che un percorso di cura, crescita, prima o poi comporti… se si vuole davvero giungere a un risultato duraturo.
È così tanto frequente il ‘lasciarsi andare’… di nuovo, dopo aver avuto delle prime risposte, delle prime consapevolezze, un primo spiraglio di luce.
Ci si risente superiori, ‘io so cosa devo fare, d’altronde le ho già vissute queste cose, no? Adesso ho capito ”Adesso, me la sento di ricominciare questa storia, stando più attenta” ah, ma… lo shopping compulsivo, le abbuffate compulsive, l’isolamento, la depressione… a me non riguardano più, sono ACQUA PASSATA’…
ACQUA PASSATA… acqua passata… è in questo nuovo, ma non meno pericoloso circolo che si rischia di cadere se non si tengono bel salde le stampelle con le quali abbiamo ricominciato a camminare.
Io per prima avevo una visione del tutto superficiale del concetto di guarigione. Così come la mia visione della malattia era inizialmente, superficialmente legata SOLO ai sintomi, la mia visione della guarigione, era ovviamente circoscritta solo al termine di quelle massacranti abbuffate.
Una volta terminate quelle tutto tornava alla ‘normalità’. Finalmente ero ‘guarita’.
Solo con il tempo ho avuto modo di modificare, in primis la mia visione della malattia e riscrivere il mio concetto di guarigione.
Alzarsi la mattina e condurre quella giornata senza il sentirsi ‘sconfitti’ prima ancora che qualcosa ci si presenti davanti; avere una lucidità tale da riuscire a cogliere gli imprevisti di una giornata; con tanto anzi tantissimo lavoro in prospettivo aver fatto pace con tutto il mio passato e quindi l’aver fatto pace con il cibo spogliandolo di tutto il suo valore emotivo; COGLIERE quegli imprevisti; accettare un rimprovero, un dubbio, senza alcun bisogno di rinfacciarlo o di pensare automaticamente ‘ecco, lo sapevo, sono una merda’; accogliere un complimento, un abbraccio, un bacio, un lasciarsi andare, o meglio, accogliere le ‘emozioni’ senza poi sentire il bisogno di farsi del male per ‘eliminare le prove del proprio desiderio, piacere ‘senza bisogno di sentirsi in colpa, sentirsi ‘sporchi’; affrontare le arroganze o le costatazioni altrui con diplomazia, mettendo da parte il rancore, o la gara a chi è più ‘forte’o più ‘debole’. Essere consapevoli che l’onnipotenza non esiste, esistono gli alti e bassi ed ognuno di noi ha le proprie fragilità, è umanamente inevitabile. Così come è altrettanto importante essere consapevoli che non esiste nessuna forma di controllo.
Avere cura di se e ritrovare il piacere di avere cura anche dell’altro, imparandolo ad ascoltare, consigliare, aiutare senza che più ‘quell’io’ prenda il sopravvento nella discussione. Riappropriarsi del concetto di rispetto, amicizia, amore, gioia, tolleranza, sensibilità, famiglia, piacere, passioni… tutti concetti totalmente alterati dalla malattia.
Gioire di quelle piccole, grandi soddisfazioni e piangere di fronte ad altrettante ingiustizie che la vita comporta. Portare avanti con costanza un impegno; non prendere una qualsiasi situazione come scusante, o per nascondersi e non esporre le proprie vere motivazioni; avere il coraggio e la lealtà di dire ciò che si pensa,assumendoci poi le NOSTRE responsabilità; non agire secondo il volere altrui, differente dal nostro; non avere più la ‘necessità’ di delegare una scelta (dalla più banale quella più importante) a chi pensiamo possa farlo meglio di noi, non avere più la necessità di ‘fuggire’ per non vivere più quella cruenta monotonia mortale, ma ‘affrontarla’.
E infine, credo che ciò che vuol dire davvero ‘guarire’ è il NON DIMENTICARE, NON CANCELLARE PROPRIO PERCHÉ NON SI CANCELLA NULLA. Non dimenticare il come tutto è iniziato, il non dimenticare il come tutto si è evoluto, la sofferenza che si è vissuta, tutto lo schifo che si è stati pronti a fare pur di placare il nostro stato di insoddisfazione perenne, di dramma, di odio, di rabbia! Non dimenticare tutto il male fatto gratuitamente alle persone che ci stavano vicine, familiari, amici, fidanzati, per punirli di una ‘colpa’ che non avevano: ‘il non saperci aiutare di fronte a un male cosi grande’; non dimenticare tutto il male che abbiamo fatto a noi stesse, l’aver venduto la nostra umiltà, l’esserci umiliate, l’esserci punite per delle colpe che non abbiamo MAI avuto e l’esserci prese delle colpe, che non abbiamo mai avuto…
NON ESISTONO COLPE. Ricordare per costruire e mai per demolire!
Ricordarci le nostre condizioni nel momento in cui abbiamo davvero avuto il coraggio di dire BASTA (chiedendo aiuto), e ricordarci tutta la fatica, tutti i pianti, tutti gli sfoghi, tutti i sentimenti di rabbia, odio profondo, ingiustizie che si sono susseguite durante il percorso di cura. Le profonde resistenze a una crescita, di ogni forma, le resistenze nel portare avanti una qualsiasi responsabilità… Ricordarci la profonda paura che avevamo nell’affrontare il mondo, nell’uscire di casa, nello scoprire il nostro volto, di entrare in contatto fisicamente con l’altro e ricordarci l’enorme paura nel confidare a qualcuno ciò che ci logorava dentro.. la paura di chiedere aiuto, prima ancora di riuscire a farlo….
Ricordarci la nostra paura nel vivere una vita a 360°!
Così come un qualsiasi sintomo dei disturbi alimentari (vale per qualsiasi forma di dipendenza) non è che l’apice di un grande, profondissimo disagio interiore che urla AIUTO, non facciamo l’errore di minimizzare il concetto di guarigione a un solo discorso alimentare.
Diamo importanza al nostro dolore, al nostro passato, al nostro presente.
Solo così riusciremo a riappropriarci del tutto della NOSTRA VITA.
Quanto è importante non dimenticare e quanto è importante non illudersi di cancellare perché tutto il nostro passato rimane e deve rimanere in quanto prezioso: Io sono quella che sono grazie ad esso.
Non si cancella ma si rielabora!
Il mio pensiero è rivolto anche alle persone che mi circondano. Alle persone che ho ‘invidiato’ i primi giorni che ho iniziato il mio percorso, convinta non sarei mai riuscita ad avere una vita così serena, pensavo che loro potevano, ma io no.
Piano piano mi sono concessa di accogliere quegli esempi e di farne parte.
Oggi dico GRAZIE mi hanno dato modo di osservare, stimare e crescere insieme, fino ad essere oggi in grado di cogliere e affrontare ogni piccola sfumatura della quotidianità.
Non esiste il ‘non ce la farò mai’ o il ‘beate loro’… ognuno per raggiungere uno stato di equilibrio, deve passare inevitabilmente attraverso il proprio dolore. Ciò che a me ha fatto forza, è il sapere di essere circondata e guidata da persone che, prima di raggiungere il loro benessere, hanno passato ciò che stavo passando anche io, per cui erano persone che mi capivano con il solo sguardo. E non era uno sguardo di ‘compassione’ (così come all’inizio lo leggevo) ma uno sguardo di LOTTA, tutte insieme, per riprenderci la nostra VITA.
Zai