autolesionismo cutting: Il mio “primo” sintomo… il CUTTER L’ “AUTOLESIONISMO TAGLI”
autolesionismo cutting: Quando mi metto davanti allo specchio, magari dopo la doccia, e guardo il mio corpo, nudo, mi viene spontaneo paragonarlo ad una pagina, una pagina su cui, nel corso della mia vita ho scritto e riscritto il mio dolore, la mia sofferenza.
Ho utilizzato più di un inchiostro, più di una penna, alcuni “appunti” sono pressoché invisibili, non si fanno vedere sulla pelle, ma sull’anima, altri sono nitidi, visibili a tutti…
Il cutter (O AUTOLESIONISMO) è stato il mio primo sintomo palese, nonostante il mio rapporto con il cibo fosse da sempre stato conflittuale (a dieta da tutta la vita, il primo dietologo alle elementari..), è stato il primo a farsi strada come forma di sollievo… di anestesia.
È strano parlare di sollievo quando parliamo di tagli inflitti al proprio corpo…
Ricordo nitidamente la sensazione: il prima e il dopo.
La sensazione di rabbia, crescente, martellante, il desiderio di vendetta su di me e sul mondo.
Il capro espiatorio: il mio corpo.
E poi il senso di liberazione, di aver punito il giusto peccatore.
Ricordo quello che disse una volta una mia compagna di percorso:
“il tuo corpo, odiato, massacrato, vittimizzato, è stata la cosa più preziosa che tu abbia mai avuto…è stato lo strumento utilizzato per esprimere il tuo dolore.”
Il fenomeno cutter è ora sempre più diffuso, anche se, purtroppo, se ne parla poco, per paura di essere giudicati, di non essere capiti: affamarsi, abbuffarsi e vomitare, passare ore a massacrarsi in palestra, far sesso come surrogato d’amore, drogarsi, ubriacarsi… sono poi tanto diversi?
Confrontandomi con persone che soffrono di questa patologia sono venute fuori molte motivazioni, molte interpretazioni.
Nel mio caso ad avere particolare valore era il dolore, ma soprattutto la CICATRICE.
Ogni volta che mi tagliavo non pensavo tanto a che cosa sarebbe uscito, non penso di aver mai creduto che da quelle ferite se ne sarebbe andata via la mia angoscia, godevo però nel vedere uscire il sangue… nel vedere la vita, che piano piano, se ne andava, come col contagocce… sadicamente mi guardavo con sguardo assente…
Non a caso ho scritto “sadicamente”: Jekyll che guarda una parte di lui, Hide, rovinare e rovinarsi, vittima di se stesso, della sua parte “cattiva”.
Escogitavo ogni tecnica possibile per aumentare il dolore, perpetrando il mio rito della vasca da bagno: acqua salata, nastro adesivo sulle ferite…
Ogni fitta, ogni gemito, era per me un segnale che in me c’erano ancora sensazioni, che ero ancora in grado di sentire qualcosa, il più delle volte altro non mi sentivo che un involucro vuoto.
Non mi curavo, non volevo prendermi cura di quelle che sarebbero diventate un’arma: le mie cicatrici.
Le contavo, le accarezzavo, le osservavo, fiera di me, di me che sapevo soffrire così bene (senza rendermi assolutamente conto di quanto fosse pericoloso e di quanto mettessi a serio rischio la mia vita).. era una manifestazione così palese che chi avrebbe potuto mettere in discussione la mia sofferenza?
Ognuna era una citazione del mio dolore… una eccitazione per il mio sadomasochismo.
Bastava un litigio, un pensiero, un piccolo, apparentemente insignificante, cambio di programma… ed ero legittimata a farmi del male… La cicatrice era per me un modo per mostrare a tutti l’insufficienza della mia natura.
La mia natura, mancante, parziale, inadatta.
Le braccia… nasconderle con vergogna, mostrarle con vanto, motivo di orgoglio, un’etichetta di valore…
La pancia, punto nevralgico, da cui una donna genera la vita, per me intimo, che nascondo, quella parte del mio corpo è MIA!
Sulla scia dell’ideale familiare, il mio corpo doveva essere magro, perfetto, anoressizzato… Ma tutto questo non potevo reggerlo, era troppo ingombrante, il desiderio di ribellione era tanto più forte e così ritornava la bulimia, il cutter, il binge, la restrizione.
Tutto votato a:
Sciupare. Provare pena per un corpo rovinato.
Il corpo passa in secondo piano rispetto al trattamento che esso subisce, la ferita è la cornice. Mi protegge, come una maschera, infatti è una delle tante maschere di cui mi sono servita nella mia vita.
Ogni taglio una separazione, da me stessa… Grande confusione: chi sono io.. quella che taglia o che viene tagliata?
Ricordo bene il mio primo gruppo a MondoSole, anzi, il primo gruppo in cui ho preso parola… portai proprio le mie cicatrici, la paura di sanarle, la paura che sparissero…
Quando ho iniziato a curarle seriamente da un dermatologo, ho sentito un gran dolore: non era la parte di dolore fisico a preoccuparmi, ma il dolore morale, la sensazione che se ne stesse andando via la mia identità, assorbita dalla mia stessa pelle.. le contavo e le ricontavo… annotavo continuamente il numero, quel numero a tre cifre che doveva rimanere invariato. Che godimento malato leggendo quel numero!
Nei miei continui sbalzi d’umore ero un conflitto di emozioni costante: a volte avrei voluto che si raddoppiassero, altre, che sparissero, che il corpo fosse pulito.
O tutto o niente.
La mia ultima ricaduta è stata la più forte che abbia mai avuto. Tale era l’anestesia che non riuscii a capire la gravità del mio gesto, quella volta ho rischiato la vita, ma non mi rendevo conto, non SENTIVO. In pronto soccorso rifiutai i punti, quelli avrebbero fatto guarire troppo bene quella ferita… fui però costretta a metterli e li ho vissuti come una vera e propria “violenza”, tanto che ho voluto toglierli io, strapparli via, nessun medico mi avrebbe violata ancora. Così lo avevo vissuto. Avevano violato il mio corpo…
Ciò che non riuscivo ancora a capire è che IO mi ero “violata”, IO mi ero ferita, IO cercavo di soffocare un dolore più grande di me, che oggi, dopo tanta fatica e lavoro introspettivo, inizio realmente a comprendere e a sviscerare.
Ci sono dei giorni in cui le cicatrici mi bruciano, mi pizzicano, ma cerco di non accanirmi, di non crogiolarmi in quel godimento malato, di autocommiserazione.
Mi fermo, respiro e vado avanti nel mio percorso, che, piano piano, mi sta portando a conoscermi, a capire chi sono, che cosa voglio, ma sopratutto mi sta aiutando a sentire senza bisogno di anestetizzare, ad accettare la frustrazione, senza che sia il mio corpo a pagarne lo scotto. Tanto lavoro ancora mi aspetta, ma un’altra cosa che sto allenando è la pazienza…
Inizio a capire che valgo non perché so soffrire o perché ho sofferto, ciò che desiderò di più e per cui ogni giorno lotto col cuore e con l’anima, è la libertà e sono più che sicura, che arriverà anche per me, con i piedi per terra, ma gli occhi sempre ben puntati verso il Sole.
La Vita, con i suoi colori, i suoi profumi, le sue incertezze, le sue sorprese, i suoi imprevisti, è un viaggio meraviglioso!
Un Grazie di cuore a MondoSole per avermela restituita.
…VITA IN TE CI CREDO.
Benny